"Sono nato dopo la guerra del 1948.
Ho iniziato la scuola il giorno della guerra di Suez.
Ho finito la scuola superiore durante la guerra dei Sei Giorni.
Mi sono sposato durante la guerra di ottobre.
Il mio primogenito è nato durante la guerra del Libano.
Mio padre è morto mentre infuriava la guerra del Golfo.”
(da Memoria, di Salman Natur, Edizioni Q, 2008)
Ho iniziato la scuola il giorno della guerra di Suez.
Ho finito la scuola superiore durante la guerra dei Sei Giorni.
Mi sono sposato durante la guerra di ottobre.
Il mio primogenito è nato durante la guerra del Libano.
Mio padre è morto mentre infuriava la guerra del Golfo.”
(da Memoria, di Salman Natur, Edizioni Q, 2008)
Israele e Palestina: un conflitto insanabile?
Dopo il dramma della shoah e lo sterminio nazifascista di milioni di ebrei, le potenze vincitrici decisero di favorire i progetti del movimento sionista, per risarcire le vittime di quanto accaduto nell’ignavia o nella complicità di intere nazioni europee.
Quando, il 14 maggio 1948, nacque lo Stato di Israele su una terra abitata da secoli da un altro popolo, iniziò per i Palestinesi la nakba, la catastrofe: costretti a lasciare la terra degli avi, ancora oggi, sparsi in tutto il mondo, sognano il ritorno.
Grande è la responsabilità degli stati vincitori del secondo conflitto mondiale nell’insorgere del conflitto israelo-palestinese. Sulla base dei sensi di colpa dell’Occidente, in gran parte complice col suo silenzio della criminalità nazista, non si è trovata un’effettiva soluzione in grado di rendere giustizia al diritto di entrambi i popoli di vivere in pace, libertà e sicurezza.
Quando, il 14 maggio 1948, nacque lo Stato di Israele su una terra abitata da secoli da un altro popolo, iniziò per i Palestinesi la nakba, la catastrofe: costretti a lasciare la terra degli avi, ancora oggi, sparsi in tutto il mondo, sognano il ritorno.
Grande è la responsabilità degli stati vincitori del secondo conflitto mondiale nell’insorgere del conflitto israelo-palestinese. Sulla base dei sensi di colpa dell’Occidente, in gran parte complice col suo silenzio della criminalità nazista, non si è trovata un’effettiva soluzione in grado di rendere giustizia al diritto di entrambi i popoli di vivere in pace, libertà e sicurezza.
La storia, l’identità, la cultura di entrambi i popoli, israeliano e palestinese, sono profondamente imperniate attorno alla memoria. I palestinesi la praticano come contro-narrazione, all’ombra di una predominante narrazione di parte israeliana e dell’Occidente. Letteratura, video e film sono mezzi espressivi per tenere in vita un patrimonio culturale sepolto da lunghi anni di conflitto e per rivendicare l’esistenza di un’identità spesso negata. La memoria di quanto accaduto dal 1948 in poi costituisce una forma di resistenza per un popolo che vive sotto occupazione.
Per gli israeliani la narrazione fondata sulla memoria traumatica della Shoah è divenuta presupposto costitutivo del nuovo stato e fattore profondamente radicato nella società, nella cultura, nello stesso sistema educativo.
Anche le due narrazioni storiche sono antitetiche. Israele persegue una costante opera di memoricidio nei confronti della preesistente popolazione: la riorganizzazione del territorio e la toponomastica, la narrativa ufficiale sono strumentalmente adattate per cancellare la memoria della Nakba. Dall’altra parte, l’ingiustizia patita ha originato posizioni ideologiche negazioniste e una forte reazione di odio nei confronti degli israeliani.
Eppure, solo il riconoscimento della memoria e della narrazione dell’altro può ricomporre una frattura fino ad ora insanabile, come affermano palestinesi e israeliani impegnati a promuovere il dialogo e la pace.
La neostoriografia israeliana, il cui esponente di maggior rilievo è Ilan Pappe, cerca di dare obiettività scientifica alla narrazione storica, smascherando il processo di memoricidio nei confronti della nakba. Egli ritiene che il riconoscimento della tragedia palestinese sia un “doloroso viaggio nel passato”, ma anche l’unico modo possibile per la società israeliana per “creare un futuro migliore per tutti, palestinesi e israeliani.” (La pulizia etnica della Palestina, di Ilan Pappe, Fazi Editorie, 2008)
Anche da parte palestinese è ormai maggioritaria la posizione sostenuta da alcuni storici e intellettuali, come Edward Said o Samir Kassir, che affermano la necessità di rivedere criticamente le teorie nazionaliste arabe che negano o minimizzano il genocidio ebraico e di riconoscere, al contrario, tale realtà storica come evento traumatico senza pari nella storia.
La necessità di parlare di Olocausto e anche di Nakba, senza che i due discorsi siano contrapposti strumentalmente in modo da sollevare eterno conflitto insanabile è ormai improrogabile. Ed è doveroso riconoscere i due diversi drammi senza che la gravità dell’uno presupponga la rimozione dell’altro.
Per gli israeliani la narrazione fondata sulla memoria traumatica della Shoah è divenuta presupposto costitutivo del nuovo stato e fattore profondamente radicato nella società, nella cultura, nello stesso sistema educativo.
Anche le due narrazioni storiche sono antitetiche. Israele persegue una costante opera di memoricidio nei confronti della preesistente popolazione: la riorganizzazione del territorio e la toponomastica, la narrativa ufficiale sono strumentalmente adattate per cancellare la memoria della Nakba. Dall’altra parte, l’ingiustizia patita ha originato posizioni ideologiche negazioniste e una forte reazione di odio nei confronti degli israeliani.
Eppure, solo il riconoscimento della memoria e della narrazione dell’altro può ricomporre una frattura fino ad ora insanabile, come affermano palestinesi e israeliani impegnati a promuovere il dialogo e la pace.
La neostoriografia israeliana, il cui esponente di maggior rilievo è Ilan Pappe, cerca di dare obiettività scientifica alla narrazione storica, smascherando il processo di memoricidio nei confronti della nakba. Egli ritiene che il riconoscimento della tragedia palestinese sia un “doloroso viaggio nel passato”, ma anche l’unico modo possibile per la società israeliana per “creare un futuro migliore per tutti, palestinesi e israeliani.” (La pulizia etnica della Palestina, di Ilan Pappe, Fazi Editorie, 2008)
Anche da parte palestinese è ormai maggioritaria la posizione sostenuta da alcuni storici e intellettuali, come Edward Said o Samir Kassir, che affermano la necessità di rivedere criticamente le teorie nazionaliste arabe che negano o minimizzano il genocidio ebraico e di riconoscere, al contrario, tale realtà storica come evento traumatico senza pari nella storia.
La necessità di parlare di Olocausto e anche di Nakba, senza che i due discorsi siano contrapposti strumentalmente in modo da sollevare eterno conflitto insanabile è ormai improrogabile. Ed è doveroso riconoscere i due diversi drammi senza che la gravità dell’uno presupponga la rimozione dell’altro.